Biohacking: luci ed ombre

Biohacking: migliorare se stessi

Il biohacking è uno dei trend di quest’anno, specie per quanto riguarda le start-up. Ma di cosa si tratta? In breve, sono una serie di metodiche applicate in vari ambiti (non solo nutrizionale) che si pongono come obiettivo quello di, cito, “modificare la nostra chimica e la nostra fisiologia attraverso la scienza e l’auto-sperimentazione per migliorare il corpo”. Si tratta quindi, almeno nell’idea, di portare al limite delle proprie possibilità biologiche la persona (quindi se stessi o i propri clienti), migliorando le performance fisiche e mentali e, conseguentemente, il rendimento lavorativo. Come? “Hackerando” il nostro organismo come se fosse un computer. Semplice, no?

In questo articolo daremo uno sguardo generale al biohacking inteso in senso nutrizionale, di allenamento fisico e mentale e al self-tracking. Niente impianti cibernetici o medicina sperimentale (editing genomico o manipolazione delle staminali), mi dispiace. Quelle rappresentano la versione successiva, oggi si parte dalle basi! Alcuni argomenti verranno approfonditi in articoli dedicati.

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Perché applicare il biohacking

Gli obiettivi, come abbiamo visto, sono legati all’ottimizzazione ed al miglioramento dell’efficienza fisica e mentale, con evidenti ripercussioni positive sulla qualità della vita e sul lavoro. Un altro obiettivo è quello di aumentare la longevità, ed  in particolare l’aspettativa di vita in buona salute. L’idea di fondo è di rimanere performanti come a 25 anni il più a lungo possibile.

Come applicare il biohacking

Come abbiamo accennato all’inizio dell’articolo, esistono vari modi applicativi. Li vediamo rapidamente:

Self-tracking: monitorare i propri parametri

L’idea di misurare in modo costante i parametri corporei attraverso dispositivi indossabili (wearable devices) è relativamente “vecchia”. Negli ultimi anni, anche grazie all’evoluzione tecnologica, è diventato di uso comune il monitoraggio di parametri biometrici, legati all’attività fisica ed ai comportamenti (sonno, postura…). La gestione del corretto ritmo circadiano (ed il conseguente impatto sul profilo ormonale) è uno dei punti focali del biohacking.

Pensiamo ad esempio agli orologi come FitBit o Apple watch. Queste misurazioni costanti generano un discreto volume di dati che in linea teorica potrebbero essere utilizzati a fini di medicina preventiva o per l’ottimizzazione degli allenamenti al fine di migliorare la performance sportiva.

Photo credit: Brina Blum @brina_blum

Genomica nutrizionale

Il biohacking nutrizionale prevede il ricorso alla genomica nutrizionale (che comprende, ad esempio, nutrigenomica, nutrigenetica ed epigenetica nutrizionale).

Negli ultimi anni, anche in Italia, si è visto un aumento della richiesta di test diagnostici basati sul DNA, sul microbioma o sul metaboloma. Tutte queste tecniche permettono un’analisi più approfondita dello stato di salute e metabolico della persona, e sono la base per poter offrire interventi nutrizionali sempre più personalizzati. Anche in questo caso, i dati potrebbero essere usati a fini preventivi o terapeutici e per il miglioramento dello stato di salute e dell’efficienza fisica.

Diete ed integrazione mirata

Rientrano nel concetto ampio di biohacking tutte quelle pratiche dietetiche che, almeno teoricamente, permetterebbero la modulazione della fisiologia individuale: diete di eliminazione, dieta chetogenica, digiuno intermittente, giusto per fare alcuni esempi. Anche l’utilizzo di specifici integratori, come i nootropi o i probiotici avanzati, o i multivitaminici/multiminerali rientrano nelle pratiche di biohacking. Esistono poi specifici prodotti alimentari, come il bulletproof coffee, un caffè mono-origine addizionato di burro (da animali alimentati ad erba) e trigliceridi a catena media da olio di cocco, che dovrebbe spingere la chetosi.

Allenare sia il fisico che la mente

Anche in questo settore ci sono una varietà di possibilità. Si parte con l’allenamento con macchinari specifici (ad esempio ARX) o in condizioni ambientali modificate come il Cold Cardio. Si utilizzano macchinari per la crioterapia e allenamenti o trattamenti che alternano condizioni iperbariche e ipobariche.

Dal punto di vista del training mentale si parte con la “semplice” meditazione (che prevede una serie di tecniche di allungamento, di respirazione e di controllo della postura), ma si ricorre anche all’utilizzo di vasche di deprivazione sensoriale, di caschi o visori che utilizzano luci a determinate lunghezze d’onda o di musica a particolari frequenze. Vengono anche applicate tecniche di neurofeedback (tecnica impiegata in abbinamento alla psicoterapia che si basa sull’auto-modulazione del SNC da parte del paziente, guidato dal terapeuta e dall’esecuzione in tempo reale di un elettroencefalogramma).

Mantieni il flusso

Un capitolo a parte è quello legato al cosiddetto flow, il flusso. Entriamo nella dimensione più spirituale del metodo, che vorrebbe i rituali delle antiche religioni (meditazione, preghiera, recitazione di mantra, canti corali, cerimonie ritualizzate ed utilizzo di sostanze psicotrope) antiche forme di biohacking. Ma la spiritualità in sé c’entra poco, quello che occorre raggiungere è una particolare forma mentis in cui si passa dal pensiero logico-razionale al pensiero intuitivo-emotivo, legato alla parte più atavica del nostro cervello.

Questo passaggio permetterebbe di passare ad uno stato, detto appunto flusso, in cui vi sarebbe un’alternanza tra le due tipologie di pensiero che migliorerebbe in senso generale la vita della persona. L’esempio classico è il top manager che svolge un lavoro che richiede una iperattivazione del pensiero logico-razionale, e che instaurando il flow migliorerebbe empatia, calma interiore, senso di appartenenza e legami con le persone che gli stanno attorno. Tengo a sottolineare che l’utilizzo del condizionale è voluto.

Come si raggiunge il flow? Inserendo dei “rituali” nella propria routine quotidiana, come la meditazione e la pratica di gratitudine e perdono, e approcciando gli aspetti della propria vita in un’ottica sistemica.

Le “ombre” del biohacking

Come abbiamo visto, le premesse sono incoraggianti. Ma quante delle tecniche proposte hanno una validazione dal punto di vista scientifico? Quali possono essere proposte con un razionale che sia differente dal “Lo fa a) lo sportivo di alto livello b) il top manager/miliardario c) l’attore famoso, per cui funziona” o, ancora peggio “l’ho provato IO e su di ME funziona” (ragionamento più che lecito, ma non utilizzabile quando si vuole proporre qualcosa agli altri)?

Beh, purtroppo poche. Alcune hanno già prove di efficacia convincenti, altre le avranno nel prossimo futuro. Altre ancora rimarranno, probabilmente, mode passeggere. Nel complesso il biohacking rimane comunque un approccio interessante, un percorso di miglioramento e crescita personale che ognuno di noi può applicare, dopo averlo tarato sui propri obiettivi ed esigenze. Possibilmente senza cadere nelle mani dei vari “guru” che, come era prevedibile, si stanno lanciando nel settore.